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Plinio Perilli e lamore (la vita non lasciata sola)

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La creaturalità votata e nata all'amore nel dovere di essere felice che gli viene dal bene della vita stessa, immagine del Sommo bene che l'ha partorito, Dio d'Amore appunto a cui guardare nella meraviglia d'origine del quotidiano, d'ogni quotidiano: è questa la direzione di una poetica che si è rivelata negli anni tra le più originali del nostro paese. Così il dialogo di Perilli è sempre tra cielo e terra, nello slancio d'elevazione di un ritorno che però si compie e si incarna sulla terra a partire dal suo incontro con l'altro e con l'altra. L'amore allora nella relazione ora accesa ora in disputa dell'uomo e della donna, luogo centrale di una riflessione che unisce in sé accenti più diversi (dai rimandi ora vicini alla filosofia, ora all'arte, ora alla storia trasfigurati magistralmente in esperienza lirica) ci appare non solo nell'esclusiva di un rapporto apparentemente chiuso ma come atto d'apertura, come educazione al mondo cui la tribù umana, la condizione umana votata alla costruzione si costruisce nel senso dell'appartenenza e del riconoscimento reciproco. Il gioco della storia, il gioco delle generazioni, eticamente, sacralmente diremmo passa da questo. Dunque non poesia d'amore quella di Perilli, o almeno non solo, ma poesia della storia nella sua definizione dal basso, nello slancio e nel contrasto di un' unione sempre in discussione ma raccolta nelle sue più vitali aspirazioni. Un "Museo dell'uomo", come da sua definizione, in cui in un unico volto si raccorpano tutti i visi degli uomini e delle donne che ci hanno preceduto (si veda il testo "L'inno sommerso"). Così se la poesia ha il senso di riconoscere all'uomo ogni giorno il proprio miracolo, pure ha il dovere di preservarne il dono nella misura dello sguardo e del cuore sempre riportati a quell'equilibrio che viene dal "restare", dal porsi di una presenza che è narrazione comune di un comune limite, certo, ma anche di una comune grandezza. Grandezza e prossimità, ripetiamo, testimoniate eticamente, civilmente non solo nei tanti versi di una condizione calpestata e offesa nelle sue storie, contemporanee e passate, grandi e piccole ma soprattutto accompagnata nella espressione più viva e accesa di dignità e bisogni. Ecco allora, in ordine sparso, la memoria delle carceri, di Genova e l'Aquila, degli sbarchi d'albanesi in Italia e della guerra del Golfo (a riprova di un canto che viene da lontano), di una Terra Santa eppure divisa, delle violenze quotidianamente e reciprocamente perpetuate tra noi nella rappresentazione di un'anima recisa e colpita direttamente nella sua costruzione appunto. "Preghiere di un laico", prendendo ancora a prestito un suo titolo, a farsi rosario pertanto di una sacralità custodita nel suo naturale diritto alla vita nell'espressione dell'amore. L'amore, ancora, perché a questo il dettato di Perilli sempre torna e sempre, nel suo slancio ora ascendente ora discendente, pienezza di una luce che va a rivestire quel nulla che è il mistero di tutti; volto dunque che in ognuno attende rivelazione e che l'altro, a partire dall'amato, come più volte ripetuto, porta in luce nel suo accadere, essere in noi. Questo è il dono, la parte necessaria reclamata già, da subito, dal primo uomo, da quell'Adamo disteso (si legga l'omonimo testo) nel sentore di un battito che viene solo dal levarsi e dallo stare in due. L'unione dell'uomo e della donna è quindi un "restare" rispondendo alla direzione possibile dell'essere data dall'altro, da questo autore investigata, innalzata, cantata nella forma del cuore come spira e potenza di un Divino ed un umano che si sommano e si sovrappongono, perché se "c'è un Dio nell'uomo" pure Dio nasce nell'uomo in un dialogo, in una tensione che entrandoci in cuore, appunto, ci salva Cuore per dirla ancora nei suoi versi. Maturità di una coscienza che tocca i vertici in alcuni brani ancora inediti in cui il patire dell'amata è trasfigurazione della croce in somma "all'umile pena umana". "Croce binaria" allora, ancora da omonimo testo, entro una Roma seppure incupita dai secoli partecipante dall'ombra all' adesione affermata delle due croci, l'umana e divina, ma anche inquietamente, teneramente delle due umane, quella da pregare (lui) e quella da vivere (lei) nel carico di una medesima condizione. Il percorso però nasce da lontano, nella costruzione (è bene ripeterlo questo termine perché indice dialettico di una spinta basata sulla logica valoriale di un divenire interrogante) della vita come costruzione dell'amore entro una narrazione vincente e libera dai ristagni delle forme poetiche all'inizio degli anni ottanta, dalla destituzione di una parola priva di rappresentatività come ha avuto modo di ricordare bene Giorgio Linguaglossa sottolineandone la novità nella rivalutazione del piano del "quotidiano" entro una "colloquialità" oggettiva e argomentativa. Di qui la capacità di "restituire alla poesia del quotidiano una metafisica del quotidiano"-ancora Linguaglossa- grazie alla "rappresentazione dell'amore giovanil-borghese della nuova generazione". Ne "L'Amore visto dall'alto" e in "Ragazze italiane" (rispettivamente del 1989 e del 1990) infatti il racconto dell'amore e delle figure delle giovani donne nella varietà e nella diversità delle dinamiche sentimentali oltre a configurarsi come ha rilevato Giacinto Spagnoletti "come un rapporto sulla vita" e "storia sociale" (Paolo Carlucci), si rileva nell'epoca del post-sessantotto (nelle rivendicate conquiste dell'universo femminile) illuminata inchiesta sui (mutati) rapporti tra i generi innalzata però nella profondità di una passione che nel dolore anche rivendica il suo pieno e generoso attraversamento. Nelle scosse dello spirito, nell'affondo del corpo così Perilli non perde mai di vista l'urgenza di fondo che spinge ma condiziona anche l'uomo, quel naturale compimento di sé che solo l'amore può finalmente liberare e condensare nel mondo. Mondo allora che si presenta come specchio e campo di una prova ora nella rispondenza delle reciproche fecondità ora delle sue reciproche recisioni cui la poesia nel suo dovere di "restare", di ricordare l'umano si intreccia fiorendo dalla carne come seme di un petalo che non teme la notte ma l'abbraccia, la illumina, la piega al suo salmo come nei 365 componimenti di "Petali in luce" (1998), vero e proprio romanzo in versi, che col già citato "Preghiera di un laico" (1994) va a formare un piccolo, sommesso grido di pubbliche e private aspirazioni, di pubbliche e private morti e rinascite nel senso di un tempo, nel cosmo, cui l'uomo tenta la sua umile e quotidiana pienezza nella grazia di un Amore (Giuseppe Pontiggia) "presentito come vita dell'universo". Così non può sorprendere, fin dal titolo e in quell'immagine che va a descriverlo nella copertina da Chagal, l'ultimo approdo della poesia perilliana, quegli Amanti in volo (2014) in cui tutta una poetica più che trentennale va a raccogliersi nell'umore di una esistenza nel suo sogno d'arte- e a due- finalmente ristabilita. Perché qui, in queste pagine avviene lo scarto in cui lo scatto delle opere precedenti completa il suo cerchio nel dialogo come detto con la storia e con se stessa, con i suoi artisti da cui nella rotazione, nella forma del quadro, secondo un' incisione pittorica del verso, sa investire il lettore di una ambizione del cuore nella tensione riflessa- e per questo- compiuta delle sue tante anime. Delle sue grafie nell'arco di racconto con i diversi autori- e pittori- che lo hanno, ci hanno intrattenuto nel tempo formandoci e informandoci anche loro all'alfabeto sempre avanti, sempre moderno dell'amore (tra cui Rilke, Trakl, Novalis); dei suoi tanti colori (a cui dedica uno dei testi più significativi "I colori e l'Amore") nella forza di una parola che ha nell'umiltà e nella determinazione dell'ascesa il prisma di una ricognizione capace di riportare e consegnare storia e contemporaneità, uomo e donna non più nella separazione ma alla soglia di un cielo ricongiunto da cui pare sprigionare come da un grande calembour tanto intenso, divertito, graffiante e interrogante, supplice immaginario del nostro più grande novecento cui Perilli nella dovizia d'intellettuale e d'uomo appartiene. Questo volo nella consegna sinestetica delle sue passioni e delle sue ragioni, che ha infine il senso, a proposito ancora dell'Adamo disteso, di una creaturalità ristabilita perché rispondente a quel Soffio di vita che dalla polvere lo ha tratto al corpo e dunque all'anima (nella continuità di una creazione nata per una condivisa espansione), ha il valore di una riattualizzata metafisica. Di una parola che scavando dal basso di una modernità intemperante e ferita ha saputo raccontare l'uomo dal centro della sua più antica separazione, quell'Amore d'origine cui la terra nella forma dell'amore, nell'unione dei suoi uomini e delle sue donne non smette mai di tendere e rappresentare. Per questo, a ragione, quest'opera può esser definita in toto come Canzoniere d'amore se è vero che l'amore è e resta motivo e motore del giorno, di ogni giorno. Che è ciò che Perilli ha cantato e non ha ancora smesso di cantare.

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